Oggi celebrando la messa nella cappella di san Carlos c’erano un sacco di bambini: tantissimi… piccoli, medi, grandini… Seduti dappertutto, fin sugli scalini dell’altare, giocando e facendo, giustamente, confusione durante tutte le parti della messa. Arriviamo alla Comunione e la gente facendosi spazio si mette in fila. Un bambino di tre anni voleva fare la comunione: “Yo también!” (“Anch’io!). E subito dopo anche l’amichetto con cui stava giocando sotto l’altare si è messo in fila. Me la sono cavata con una carezza e loro son tornati al posto non del tutto convinti (gli si leggeva negli occhi la tipica espressione spagnola:”questo me gá fregá, no so come, ma el me gá fregá!”).
Giovedí sono andato in Seminario Maggiore per il buonissimo pranzo di Natale (siccome sto insegnando un po’ di italiano ai seminaristi, mi hanno invitato… e poi mi han regalato una bottiglia di vino… meglio di cosí!) e mi han chiesto di far parte della giuria per dare il premio al miglior presepio dei tosi. Uno dei criteri era il messaggio. In uno dei presepi il Niño Jesús era appoggiato su un letto di “ciopete de pan”: pagnottine piccole come casa per il Salvatore: splendido!
In questi giorni perlappunto mi sta facendo una buona compagnia la parola Belén (Betlemme), che in ebraico vuol dire proprio “Casa del pane”. I bimbi che volevano fare la comunione mi han risvegliato questo significato.
Gesú è nato nella casa del Pane, per farsi pane per la nostra fame.
La fame di riconoscimento, di Qualcuno che ci voglia bene, di essere importanti, di capire i problemi del mondo e di lavorare, come siamo capaci, per cercare di risolverli.
Natale, festa di un’umanitá che ha fame e trova un pane quotidiano: un Dio che ogni giorno si ricorda di noi, ci alimenta con il suo amore e ci aiuta a prendere sul serio la nostra vita.
Che queste feste ci aiutino a trovare pane buono, quello che alimenta le nostre necessitá piú profonde, nella vita quotidiana.
Mauro